martedì 22 gennaio 2013

L'economia reale distrutta da Monti

di Nicola Melloni

da Liberazione

L’Italia è in recessione e ci rimarrà anche il prossimo anno. E la responsabilità maggiore ricade sul governo Monti (e sul suo predecessore Berlusconi). Se queste parole non le avesse dette il governatore della Banca d’Italia Visco, qualcuno avrebbe potuto pensare alla solita “propaganda comunista”. Ed invece….
Iniziamo dai numeri. Per mesi ci avevano raccontato che rimettendo a posto i conti pubblici il Pil sarebbe di nuovo cresciuto già nel 2012, ed invece il calo è stato superiore al 2%. Ci hanno allora detto che nel 2013 si sarebbe invertita la tendenza: ed invece già adesso Bankitalia ci anticipa che anche per quest’anno saremo in recessione. Poi, forse, dal 2014, le cose andranno meglio – ma non c’è tanto da fidarsi, data la costante sovrastima da parte di tutti i centri studi (e qui delle due l’una: o sono totalmente incapaci o mistificano la realtà ad uso politico).
E per quanto riguarda le responsabilità di questo sfacelo? Anche qui continuiamo a seguire il discorso di Visco, d’altronde i numeri, per una volta, non mentono. Monti, Scalfari e i custodi dell’ortodossia monetarista e filo-governativa possono arrampicarsi sugli specchi finché vogliono, ma la realtà è davanti agli occhi di tutti: il maggior responsabile della recessione della nostra economia è il governo da poco dimesso. Certificato, appunto, da Bankitalia che nelle sue tabelle analizza le origini della recessione e spiega che la parte del leone l’hanno fatta le svariate finanziarie di questi anni. Non è certo una sorpresa, per noi almeno. Sono ormai due anni che economisti di sinistra e commentatori di varia origine denunciano l’assurdità delle politiche di austerity. Ultimamente si è aggiunto al coro anche il Fondo Monetario Internazionale che ha rivisto i suoi parametri per le previsioni economiche: anche a Washington si sono finalmente accorti che i tagli di bilancio deprimono il Pil, ben oltre le iniziali previsioni (frutto di un calcolo sbagliato – non è dato sapere se consapevole o meno – del moltiplicatore keynesiano). Ma Monti e suoi non hanno voluto ascoltare nessuna di queste voci, testardi come solo i professori arroganti possono essere. E allora avanti con i tagli, con il bel risultato che la nostra economia sta sprofondando.
Ma, ci continuano a dire media e politici in piena campagna elettorale, questi tagli erano indispensabili per rimettere in sesto i conti pubblici. Peccato che questi siano in realtà peggiorati da quando Monti è al governo: deficit ancora sulla fatidica soglia del 3% del PIL, rapporto debito/Pil in continua ascesa. Non era d’altronde difficile prevederlo: i tagli e le tasse maggiori deprimono l’economia (il denominatore scende) ed allo stesso tempo riducono le entrate fiscali ed aumentano i costi del welfare, tipo cassa integrazione (e dunque il debito-numeratore aumenta). A giustificare i tagli rimane allora solo la favoletta dello spread, calato grazie al salva-Italia. Peccato che proprio all’indomani della finanziaria "lacrime e sangue" di Monti (in aggiunta ai tagli selvaggi di Berlusconi-Tremonti), i tassi di interesse abbiano raggiunto i massimi di questa crisi. Ormai la storia dello spread è stata smascherata e non ha nulla a che fare con l’operato del governo Monti – per maggiori informazioni rivolgersi a Mario Draghi, al suo ufficio della BCE.
Davanti a questi dati drammatici ci si aspetterebbe una lunga discussione e una rimodulazione dei programmi, soprattutto in una campagna elettorale che dovrebbe essere decisa proprio sui temi della crisi. Da una parte Monti e i suoi centristi non possono essere credibili nei loro programmi economici, ancorati come sono alla logica dell’austerity. E sicuramente una credibilità maggiore non può avere Berlusconi che l’austerity l’aveva iniziata già prima di Monti e che ha sostanzialmente sottovalutato gli effetti economici della crisi finanziaria. Ma non è certo molto meglio il programma Bersani che si delinea comunque in continuità con l’agenda Monti, appoggiata "senza se e senza ma" per oltre un anno. Il punto in questione è che, bloccati dai trattati europei, la politica dell’austerity è destinata a continuare. Il fiscal compact prevede una riduzione continuativa del debito in eccesso del 60% del Pil nel giro di 20 anni – circa 50 miliardi solo per il 2013. Con nessuna garanzia, come abbiamo visto, che questi tagli producano l’effetto sperato e abbassino il rapporto debito/Pil, con il rischio aggiuntivo di sanzioni da parte della UE.
Di fronte a tutto questo il Pd e Sel non hanno nulla da dire. Non una denuncia, o almeno una ridiscussione dei trattati europei; non una apertura sulla patrimoniale, l’unico vero strumento per rimettere seriamente a posto i conti pubblici, con effetti assai meno depressivi sui consumi. Una coalizione che si definisce progressista non vuole nemmeno discutere una tassa che colpisce i patrimoni maggiori in un paese dove il 10 per cento della popolazione controlla il 50 per cento della ricchezza. E soprattutto in un paese dove la ricchezza privata è ben cinque volte superiore al nostro debito, e dove dunque si potrebbero trovare soluzioni alternative all’austerity. Solo su queste basi si può battere la destra, che non è certo solo quella di Berlusconi. E’ quella che in Italia, Spagna, Grecia, ma anche nel resto d’Europa, affama il lavoro e non tocca i privilegi dei ricchi, nascondendosi dietro fallimentari ricette economiche.

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