martedì 30 aprile 2013

L'Emilia rossa diventa grillina

Riportiamo un interessante articolo di Dario Di Vico sulla crisi del modello emiliano, per anni e decenni il fiore all'occhiello del Partito Comunista ed esempio di buon governo, socialità, opportunità e di come la socialdemocrazia scandinava potesse funzionare anche in Italia. Un modello ormai sfiorito, però, come ribadisce anche Di Vico. Gonfi e tronfi per i risultati non da loro ottenuti, ma ereditati da chi aveva costruito prima di loro, gli amministratori emiliani - e quelli bolognesi in particolare - hanno smesso di investire su capitale umano, infrastrutture, sono divenuti sordi al cambiamento e alle esigenze delle persone. Sono stati incapaci di mantenere il passo della modernità, risultando in una crisi politica senza precedenti, dal successo di Guazzaloca ormai quasi 15 anni fa, al fallimento politico del periodo di Cofferati, all'imbarazzante scandalo Del Bono. Nel mezzo, problemi mai risolti, l'affaire Civis, la qualità della vita in costante calo, il proverbiale civismo emiliano in crisi. E con un referendum contro le scuole private a Bologna che rischia di diventare un atto di accusa contro l'incapacità del PD di fare non solo buona politica, ma anche buona amministrazione. Mentre  il M5S avanza.

Il paradosso di Bologna, alto capitale sociale e bassa circolazione delle élite

di Dario Di Vico
da Style
 Il tema è venuto fuori durante la recente presentazione del libro di Franco Mosconi sul modello emiliano. La sede non poteva essere più congeniale: la biblioteca della casa editrice del Mulino. Provo a sintetizzarlo: come è possibile che Bologna e la sua regione, territori ad alto capitale sociale, appaiano all’esterno come “società chiuse”, caratterizzate da una scarsa circolazione delle élite?  Sul primo assunto c’è poco da discutere. Studiosi di numerosi Paesi hanno lodato negli anni la capacità sistemica del modello emiliano, l’aver saputo creare una robusta infrastruttura civile di partecipazione che si è rivelata nel tempo uno dei caratteri distintivi del territorio. E’ chiaro che ciò è stato possibile non solo in virtù del genius loci ma di un connubio strettissimo tra le culture preesistenti e il pensiero della sinistra, da tempo immemore maggioritaria da queste parti. Il pensiero di una sinistra “compiuta” che qui è riuscita ad essere/rimanere ancorata alle radici popolari e quasi mai animata da un sentimento di superiorità antropologica nei confronti dell’avversario o dell’elettore medio. Questa infrastruttura civile è stata determinante per migliorare la qualità dei servizi offerti dall’operatore pubblico, per creare un circuito positivo di consenso con la popolazione, per alimentare un diffuso sentimento di appartenenza. Politica e antropologia sono stati un tutt’uno. L’insieme di questi fattori ci siamo abituati a catalogarlo come “capitale sociale” ma ci siamo anche pigramente acconciati a considerarlo immutabile nel tempo. E invece come accade per le infrastrutture fisiche anche quelle civili risentono dell’uso e nel caso in esame di una progressiva tendenza a fabbricare procedure, riti, macchine politico-amministrative. Se volessimo restare nell’ambito del lessico finanziario usato come metafora potremmo dire che nel tempo il modello emiliano non è stato capace di operare degli aumenti di capitale sociale, si è considerato sufficientemente patrimonializzato all’infinito. Niente di grave, capita anche ai migliori. Guai però a dimenticarsene e ripetere le frasi fatte, bearsi del medagliere e dimenticare le sfide in essere. E la principale delle contese in campo oggi riguarda sicuramente la circolazione delle élite. Le società chiuse operano prevalentemente per cooptazione, includono con il contagocce e lasciano prevalere gli stessi cognomi, spesso doppi cognomi. Sta accadendo qualcosa del genere a Bologna e in Emilia? Penso proprio di sì, anche se si fatica a tematizzarlo, c’è una convenzione politico-culturale che porta a sottolineare lo stock di patrimonio sociale ma non i flussi. E invece se una società vuole rinnovarsi deve badare innanzitutto ad assicurare mobilità “nuova” al suo interno e un’adeguata e costante liberalizzazione delle élite. La reazione degli elettori che hanno premiato ad abundantiam i grillini è anche (in parte) una reazione alla mancata movimentazione sociale. Non è un caso, del resto, che l’Emilia sia considerata la culla del Movimento 5 Stelle.

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