sabato 6 aprile 2013

L'Italia, la crisi e gli scenari catastrofici

di Nicola Melloni
da Liberazione

Come riportato da Federico Fubini sulle pagine del Corriere, la comunità economica internazionale tiene sotto costante scrutinio l’Italia. In questi giorni, alla conferenza dell’Institute for New Economic Thinking i delegati si sono trovati sotto gli occhi un breve documento prodotto da Bridgewater – il più grande hedge fund del mondo – che propone uno scenario catastrofico, per quanto improbabile: Grillo che vince le elezioni, l’Italia che esce dall’euro, l’Europa che collassa.
Il documento Bridgewater calcola una possibilità del 5-10% che questo scenario diventi reale. Un rischio marginale ma non proprio irrilevante. E, forse, sottostima i rischi. La crisi infatti sta entrando nella sua fase peggiore, nonostante politici, analisti, giornali ci continuino a ripetere che la ripresa è dietro l’angolo. La realtà, invece, è assai diversa. Le stime economiche parlano di continua recessione e, soprattutto, di un decennio di stagnazione alla fine del quinquennio di crollo economico, con devastanti conseguenze sociali. Questo infatti vorrebbe dire che non c’è, all’orizzonte, nessuna vera speranza di ripresa dell’occupazione se non, come nel Regno Unito, di lavoro precario e stagionale. Inoltre, gli effetti occupazionali della crisi vengono magnificati da un cambiamento strutturale nell’industria che, attraverso un nuovo ciclo di automatizzazione, sta ricominciando a produrre diminuendo la forza-lavoro impiegata, come nel caso degli Stati Uniti. Insomma, crescita zero, o quasi, con una quota sempre maggiore di profitti a danno della quota salari.
In tutto questo i governi della Ue non solo non riescono a rilanciare la crescita ma stanno anzi peggiorando la crisi, che ormai esce dai confini del Sud Europa. La Francia è quasi in recessione, tant’è che il ministro Moscovici ha chiesto più tempo alla Ue per raggiungere il target del deficit che rischia di costare altre centinaia di migliaia di posti di lavoro. La risposta tedesca è stata immediata: il rigore non è in contrasto con la crescita.
Lo schema proposto è sempre lo stesso: la disoccupazione si traduce in salari minori che rilancerebbero dunque produttività e competitività. L’aggiustamento strutturale delle economie del Sud Europa dovrebbe dunque avvenire sulla pelle dei lavoratori – come spiegato senza tanti giri di parole dalle ricerche della banca d’affari francese Natixis. Allo stesso tempo, i salari ridotti permetterebbero una riduzione dell’inflazione e dunque tassi di interesse molto bassi per poter rifinanziare il debito.
Un ragionamento economicista (per altro, come abbiamo detto più volte, drammaticamente sbagliato) che non tiene in conto le decisive variabili sociali e politiche. Ed è in questo, indubbiamente, che il documento di Bridgewater potrebbe rappresentare una salutare boccata di aria fresca. L’analisi della crisi deve muoversi dall’economia alla politica. In Europa tassi di disoccupazione simili a quelli attuali non sono stati registrati per quasi un secolo, e questo sta mettendo sotto tensione la tenuta del patto sociale. Nel giro di appena un paio di anni abbiamo visto la preoccupante crescita di un movimento para-nazista in Grecia e di molti altri gruppi anti-sistema nel resto d’Europa. L’Italia ovviamente è la punta dell’iceberg di questo fenomeno, come dimostrato dalle ultime elezioni. E’ impensabile che una situazione del genere possa durare ancora per lungo tempo. Nessuna democrazia è in grado di sopportare livelli di disoccupazione a doppia cifra per oltre dieci anni, né che i lavoratori continuino a impoverirsi senza batter ciglio. Per uscire da quest’impasse è dunque urgente una grande ed innovativa risposta politica. Purtroppo, però, l’Europa continua a rimanere un progetto acefalo, un grande mercato senza una vera guida politica – se non quella tedesca che sembra però non interessarsi ai bisogni degli Stati mediterranei. Ma senza un progetto condiviso, senza un patto sociale che tenga insieme gli europei su una base comune, senza le istituzioni di un vero stato, il mercato europeo è destinato a distruggere l’idea stessa di Europa.

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