venerdì 24 maggio 2013

A chi non piace la Democrazia.
Di Simone Rossi 


Nel linguaggio pubblico italiano ed occidentale, in particolare in quello attinente alla sfera politico-istituzionale, la parola democrazia è utilizzata frequentemente, per lo più come forma di marketing con cui zittire chi esprime opinioni o concezioni della società differente da quella dominate. Per decenni la parola è servita da marchio commerciale per il sistema capitalista occidentale in contrapposizione al modello sovietico, quasi ad indicare che lo spazio delle forze popolari nella dialettica politica ed lo Stato Sociale fossero insiti nel modello occidentale e non il risultato di rapporti di forza favorevoli alle classi subalterne; tant'è, una volta abbattuto il Muro di Berlino e venuto meno lo spauracchio comunista, chi detiene il potere economico si è ripreso quanto conquistato dai cittadini nel corso di un secolo almeno, ivi compresi gli spazi di agibilità democratica; l'unica forma di stato e di società che piace a chi detiene il controllo dell'economia è quello in cui il più forte, il più ricco, ha piena libertà di fare e disfare, libero dalla critica e dal dissenso, repressi dai cani da guardia a due zampe. Si tratta di un atteggiamento diffuso, latente, che trova riscontro nelle occasioni in cui figure pubbliche si sottraggono alle domande scomode dei giornalisti, quelli riescono ancora a volgere il proprio ruolo di informazione e di investigazione, che reagiscono in maniera stizzita di fronte al dissenso, alla critica argomentata, preferendo i monologhi ed i dibattiti ovattati in televisione. Un atteggiamento che ha trovato la propria massima espressione nella proposta lanciata da alcuni esponenti di destra in Parlamento di punire anche con la reclusione le manifestazioni di dissenso durante i comizi politici, in cui, va da sé, si può accettare solo folla plaudente ed in adorazione del Capo.

A questa concezione conservatrice, quando non reazionaria, della società non si sottraggono quelle forze politiche che si rifanno alla tradizione riformista o che propugnano nuove forme di partecipazione democratica. Nell'edizione di lunedì 20 maggio de l'Unità Emiliano Macaluso, storica figura del PCI e delle sue successive mutazioni genetiche, esprimeva il proprio disappunto per la manifestazione indetta dalla FIOM contro le politiche economiche italiane per il 18 maggio. La motivazione su cui Macaluso ha mosso la propria critica, per cui la FIOM in quanto organizzazione sindacale avrebbe sbagliato a mischiarsi con organizzazioni non sindacali, innanzitutto i partiti della Sinistra appare debole, sopratutto alla luce del fatto che tra i vertici della CGIL ed il partito di Macaluso è sempre esistito un rapporto organico e di convergenza politica, come dimostra il passaggio di molti dirigenti sindacali nelle fila del partito. Ciò che sembra realmente infastidire l'esponente democratico e molti altri suoi colleghi di partito è la possibilità che il dissenso, l'opposizione alle politiche moderate cui aderisce il PD possa organizzarsi e divenire sufficientemente visibile e forte da mettere in discussione la posizione dominante del partito nell'ambito del campo progressista. A confermare questa supposizione è l'accenno nell'articolo stesso alla questione del referendum bolognese sui contributi pubblici alle scuole materne private, bollato come manifestazione di estremismo di quella parte della Sinistra che non sa essere "responsabile".Paradossalmente quella che è una forma di partecipazione democratica dei cittadini alle decisioni sembra non piacere a coloro che si dichiarano democratici già nella propria denominazione (Partito Democratico) nel momento in cui l'esito della consultazione potrebbe non collimare, nel caso bolognese, o non collima, come per il referendum sulla pubblicità dei servizi idrici, con i loro desiderata.

Il referendum bolognese avrà carattere locale ma ha assunto carattere nazionale durata campagna elettorale, con il pesante intervento di esponenti di spicco dei principali partiti di governo, quello delle cooperative, delle organizzazioni di matrice cattolica e della CEI. Più che i finanziamenti in sé, nell'ordine di circa un milione anni, o la "pura indipendenza" del sindacato, per ritornare al Macaluso di cui sopra, ciò che infastidisce e finanche intimorisce i Democratici è la democrazia stessa, intesa come partecipazione attiva dei cittadini della Cosa Pubblica, in autonomia dai partiti e dal controllo paternalistico di una classe dirigente autoreferenziale ed autoritaria. Esperienze come il referendum sulla scuola materna pubblica a Bologna, l’opposizione al progetto TAV in Valle di Susa, i movimenti per la tutela del territorio dalla costruzione di grandi opere invasive ed inquinanti e contro la proliferazione di basi ed installazioni militari (Vicenza, Sicilia) rappresentano piccole crepe nel monolite del pensiero unico che accomuna di oltre vent’anni post comunisti, ex democristiani, liberali e conservatori. Sono il sale della democrazia, non possiamo che auspicare si moltiplichino e siano il preludio per un cambio di direzione del pendolo della Storia.


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