venerdì 3 maggio 2013

L'ossessione monetarista dei conti in ordine

di Nicola Melloni
da Liberazione

Mario Draghi ha ieri abbassato i tassi al loro minimo storico, lo 0.5%. La Bce sta facendo tutto o quasi quello che può per rilanciare l’economia europea. Il problema è che può davvero poco. Tagliare i tassi, in generale, non è sbagliato. Certo è meglio di alzarli, come fece il predecessore di Draghi, Trichet, che riuscì nell’impresa non facile di riuscire ad alzare il tasso di interesse nel mezzo della crisi, perché ossessionato dall’inflazione, inesistente, mentre la disoccupazione andava alle stelle.
Avere tassi più bassi vuol semplicemente dire avere denaro a basso costo, si tratta dunque di un incoraggiamento per le imprese a prendere denaro a prestito dalle banche ed investire. Il taglio dei tassi dunque si inserisce nella stessa direzione dei quantitative easing, della liquidità data alle banche nel corso dell’ultimo anno. Più cash in giro, costo del denaro più basso, più possibilità per le imprese. Purtroppo però, come abbiamo spiegato recentemente, il costo del denaro non è certo l’unica ragione a motivare le decisioni di investimento. Lo si è visto clamorosamente in quest’ultimo anno. Le banche sono piene di contante eppure questo non raggiunge l’economia reale.
In effetti, con i consumi in crollo, la disoccupazione alle stelle, la recessione che continua a mordere, pensare di agire solo sul supply side – sul lato dell’offerta – non ha molte possibilità di successo. In una situazione di liquidity trap, trappola della liquidità, la politica monetaria diventa inefficace nel rilanciare l’economia reale. I tassi sono ormai a zero, l’effetto di stimolo sul settore privato è nullo.
Per uscire dalla crisi, dunque, sono indispensabili tipi diversi di intervento. Il primo dovrebbe essere l’investimento pubblico. L’abbassamento dei tassi di interesse – che non a caso ha portato ad una ulteriore riduzione dello spread (ormai ovviamente slegato dall’economia reale) – potrebbe avere un effetto positivo se i minori costi di indebitamento dello Stato si traducessero in un rilancio della spesa pubblica. Questa servirebbe a rimettere in moto un ciclo positivo di investimenti ed ad aumentare la domanda aggregata.
Allo stesso tempo lo Stato dovrebbe sostenere la domanda privata, capovolgendo appunto l’idea che si esce dalla crisi solo dando soldi alle imprese. Demand side, invece di supply side: sostegno ai consumi delle famiglie, aumento dei salari, reddito di cittadinanza, soprattutto incremento dell’occupazione. Si tratta cioè di far ripartire l’economia reale, l’unica maniera per ridare fiducia al settore privato e rilanciare gli investimenti.
In concreto, vuol dire buttare al mare la folla idea che i conti in ordine siano il mezzo per uscire dalla crisi. E’ vero esattamente il contrario: in periodi di recessione lo Stato deve intervenire con politiche anti-cicliche, indebitandosi. Letta e soci continuano ad insistere sul mantra del non lasciare debiti alle future generazioni. Ma l’indebitamento, necessario, presente, può e deve essere riassorbito quando l’economia sarà in crescita, le tasse aumenteranno e non ci sarà bisogno dello stimolo pubblico. Cercare, inutilmente per altro, di tenere in ordine i conti ora, vuol dire lasciare un debito ben più pesante alle generazioni future: quello della povertà.

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