venerdì 8 febbraio 2013

Un ricordo a senso unico.
Di Simone Rossi 

Il 10 febbraio di ogni anno si celebra il Giorno del Ricordo, solennità civile istituita nel 2004 "[...] al fine di conservare e di rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. [...]". L'istituzione di iniziative come questa sono importanti perché una nazione ricordi gli aspetti più oscuri del proprio passato e giunga ad una riconciliazione in nome della serena e pacifica convivenza. Purtroppo ciò non avviene nel Giorno del Ricordo, in cui tanto l'obiettivo di recuperare la memoria quanto quello di marginare ferite lontane sono pienamente mancati; sin dalle motivazioni con cui esso fu istituito, riportato qui sopra, questa solennità è sbilanciata sugli avvenimenti successivi alla Seconda Guerra Mondiale e sulla sorta degli italiani di Istria e Dalmazia, lasciando nella vaghezza quanto accaduto alle popolazioni slave negli anni dell'annessione italiana di queste terre e della repressione ad opera della dittatura fascista. Nei fatti l'istituzione di questa giornata risponde più al desiderio di rivalsa di una parte non insignificante del nostro paese, che non ha mai accettato la sconfitta, storica ancora prima che militare, del fascismo e del regime dittatoriale su di esso imperniato. A ciò si aggiungano la male fede, l'opportunismo ed il trasformismo di quelle forze politiche eredi delle tradizioni comuniste, socialiste e democratiche-cristiane che assecondano le spinte revisioniste della destra italiana, ancora fascista sotto la sottile apparenza liberale, per pochezza culturale o per riacquistare verginità politica, lavando la "colpa" del proprio passato marxista. Emblematica sia l'emerita sciocchezza pronunciata dal Presidente della Repubblica, l'ex comunista Giorgio Napolitano, nel 2007: <<[...] un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica.>>


Al generale clima di conformismo, in cui rigurgiti fascisti si sommano all'ignoranza storica, si può rispondere con l'informazione, la divulgazione storica. Inquadrando i fatti di quegli anni nel complesso delle vicende di annessione dell'Istria, di italianizzazione forzata, di violenze e soprusi e di invasione della Dalmazia possiamo comprendere quali siano state le cause di tanta violenza anche contro civili inermi, senza scadere in scempiaggini sul disegno slavo, con il loro carico di razzismo malcelato. Il documentario The Fascist Legacy, prodotto dalla BBC nel 1989 ed accortamente tenuto in archivio dalla RAI, può aiutarci a capire e a sfuggire alla retorica di questa giornata di memoria perduta.


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liberi tutti




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Voti utili e inutili: ma per chi?


Dai giornali, ai blog, ai commenti sui siti è tutto un rincorrersi di appelli o spiegazioni per il voto utile. Che hanno più o meno 2 connotazioni. Voti PD-SEL se no torna Berlusconi. Oppure, visto che questo disco sembra un po' rotto, ne hanno inventata un'altra. Quelli che votano Ingroia perchè non vogliono Monti, stanno in effetti votando per Monti. Più voti si toglie a PD-SEL e più probabile sarà la mancata maggioranza al Senato e dunque l'alleanza con Monti. Una linea di pensiero in effetti più logica, che ha il solo difetto di negare un'altra realtà. E cioè che da quasi un anno Bersani vuole governare con Monti e lo ha ribadito anche pochi giorni fa a Berlino. Dal che ne dovrebbe quantomeno dedurre che se votare Ingroia equivale a votare Monti, anche votare Bersani vuol dire prendersi Monti.
Ma mi piacerebbe concludere, sperando che ci sia qualche lettore un po' più maturo (di età) con questo paragone: per 40 anni il PCI ha preso voti sapendo di non poter governare. In realtà il PCI prendendo molti voti portava via molti elettori e quindi un notevole peso politico al PSI (anche prima di Craxi, quando era un partito migliore). Si sarebbe potuto scegliere il voto utile e votare tutti PSI per mettere più sinistra nei governi di centrosinistra di allora. Invece c'erano milioni di voti inutili. Tutti idioti?

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Al voto al voto - 5


"Voterò rivoluzione civile
Ma mi piacerebbe fosse una vera rivoluzione civile!
Con delle primarie per i candidati al parlamento, per esempio.
Vorrei un candidato premier diverso. Un premier meno mediatico e più vicino al lavoro , ai lavoratori.
Con un ricambio generazionale che deve imporsi.
Vorrei che fosse una rivoluzione civile e non un partito rivoluzionario.
Vorrei che, per una volta, pagasse chi ne ha di più.
Vorrei finirla con questa farsa delle banche.
Vorrei che questa rivoluzione civile riducessi i costi della politica. Vorrei che Rivoluzione civile non fosse una bella idea destinata a scomparire appena dopo il voto.
Che scendesse in mezzo alla gente, si sporcasse le mani e aiutasse a ricostruire una società degna di questo nome.
Che il termine “civile” non fosse vuoto di contenuto. Vorrei che “Rivoluzione civile” diventasse un movimento in grado di imporsi con contenuti anche localmente.
Vorrei potesse ridare una speranza per il futuro, un futuro diverso.
Che il coraggio delle parole si trasformasse in azioni."

Simone - Parigi

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La Battaglia di Algeri

La cineteca politica di Resistenza Internazionale
di Giulia Pirrone
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Il recente assassinio del leader dell'opposizione tunisina Belaid, ultimo di una lunga serie di episodi di violenza che hanno afflitto il nord Africa negli ultimi due anni, fa riflettere sulle responsabilità imputabili ai malgoverni coloniali per l'odierna instabilità' politica della regione.

Ripensando a quegli anni e' sicuramente La Battaglia di Algeri, del 1966 di Gillo Pontecorvo la prima, ed anche per questo più' significativa, rappresentazione cinematografica di insurrezione nel Maghreb.

Il film ricostruisce gli eventi della guerra d'indipendenza ad Algeri tra il 1954 ed il 1957. L'organizzazione delle cellule rivoluzionarie nella casbah dapprima, e la guerra civile che ne consegui' tra algerini e coloni. La sceneggiatura fu ispirata dai racconti di un militante del Fronte di Liberazione Nazionale, e Pontecorvo utilizzo' quasi esclusivamente attori non professionisti per accentuare il carattere documentaristico ed oggettivo della narrazione.
Tanto vi riuscì' a far parlare da se' i fatti, che la proiezione del film fu vietata in Francia fino al 1971.
Il film fu stra-acclamato dalla critica, vinse il Leone d' Oro a Venezia e fu candidato a ben tre Oscar. Il suo successo e' dovuto all'approccio rivoluzionario utilizzato da Pontecorvo nel parlare del colonialismo, per la prima volta rovesciando le prospettive. L'esperienza coloniale e' raccontata dal punto di vista dei colonizzati che combattono per la libertà' piuttosto che dei colonizzatori. Senza compassione per gli uni ne' scherno per gli altri , Pontecorvo mira, e con successo, al più' alto grado di oggettività' possibile. Ad aiutare il regista nel raggiungere il suo intento gioca un ruolo importante la musica  (che fu composta da Pontecorvo stesso sotto la 'supervisione' dell'amico Morricone), anch'essa imparziale quanto incalzante grazie alle percussioni all'interno della Casbah, e metallica nel raccontare la guerra dei Francesi combattuta a suon di pistole ed elicotteri.

Oltre che testimonianza storica sulle dinamiche ed esiti della guerra d'Algeria, il film e' un più' che valido documento di strategia della guerriglia e del terrorismo, ed e' stato utilizzato sia dalle istituzioni argentine negli anni '70 che dal Pentagono nel 2003 durante la guerra in Iraq per prepararsi alla guerriglia urbana.















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Marco Revelli sul voto e su Rivoluzione Civile

Pubblichiamo l'intervista fatta a Marco Revelli da Micromega. Continuiamo dunque ad informare sulle scelte di diversi esponenti della politica, della cultura, e del mondo del lavoro. Per dare ai nostri lettori possibilità di riflessione sui pro e i contro di alcune decisioni e sul voto del 24-25 Febbraio.


“Alla fine voterò Rivoluzione Civile. Spero superi il quorum del 4 per cento, sarebbe grave una tale dispersione, e che elegga alla Camera 20 esponenti di cui 10 significativi di un impegno sociale. Persone che non appartengono al ceto dei professionisti della politica”. Il sociologo Marco Revelli ha pochi dubbi su chi sosterrà il 24 e 25 febbraio ma, nello stesso momento, è consapevole che la lista di Ingroia “è un’occasione persa per parlare ad un pubblico più ampio del recinto della sinistra radicale, non è all’altezza della sfida e non rappresenta quella nuova politica di cui ci sarebbe bisogno”.

Lei è stato tra i promotori dell’appello di “Cambiare si può”. Che progetto avevate in testa?
Siamo partiti da un semplice appello che chiedeva discontinuità in contenuti e metodo. Dopo un ventennio di berlusconismo e un centrosinistra incapace di fare opposizione, partivamo dalla sensazione del fallimento della politica italiana. In tal senso la vicenda Monti, nel novembre 2011, è stata emblematica: la politica si è messa da parte per far largo ai tecnici. Il Parlamento si è spogliato delle sue funzioni, Napolitano ha assunto il ruolo di un sovrano, il potere politico si è suicidato, in soldoni abbiamo assistito ad un’eutanasia istituzionale. Volevamo ripartire da qui, provare a ricostruire un rapporto tra la società e le istituzioni, tra rappresentanti e rappresentati, in una fase di decadenza del sistema partitico. Qualcosa di nuovo, nato dal basso, dalla cosiddetta società civile, per parlare a tutti, non solo alla sinistra-sinistra. Esiste una parte amplissima di elettorato disorientato, spaventato e disgustato a cui pensavamo poter dare un’alternativa non solo di programmi ma di metodo: nuovi criteri di selezione dei candidati e ferrea separazione tra politica e denaro. Le stesse primarie del centrosinistra sono state più un’operazione di marketing che una reale riconquista della fiducia dei cittadini. Noi – col nostro appello – siamo riusciti a mobilitare, per parafrasare Hannah Arendt ho visto “felicità pubblica”. Il piacere di molti di partecipare ad un’impresa comune.

Ma un certo punto, come “Cambiare si può”, vi siete relazionati con Antonio Ingroia ed è naufragato tutto nel momento della composizione delle liste. Hanno vinto le logiche di partito? Ingroia l’ha delusa?
Ho massima stima per la sua persona: come magistrato non si discute. E anche la personalizzazione della lista è più subita che voluta da Ingroia stesso. Come altri avrei preferito un gruppo, una gestione collegiale in base alle rispettive competenze: penso ad esempio a personalità come Gallino, il quale non ha mai nascosto la necessità di occuparsi in primis delle istanze sociali. O alle grandi personalità esperte di beni comuni e all’attenzione dei territori. Noi ad un certo punto abbiamo fallito per nostra inadeguatezza e ingenuità: abbiamo sottovalutato il peso degli apparati e i richiami identitari di partiti, seppur piccoli. Oltre al non presentare i propri simboli avremmo gradito un passo indietro dei loro leader, non è stato possibile. Non sono contro i professionisti della politica né per lo scontro tra partiti e società civile, credo debbano camminare insieme ma ritengo – in questa fase – un errore non aver dato peso alle personalità impegnate nel sociale, la politica tradizionale doveva fare un passo indietro.

Quindi malgrado non sia la “sua” lista, comunque voterà Rivoluzione Civile. Alcuni dentro “Cambiare si può” non la pensano così, come Gallino che ha espresso proprio su MicroMega preferenza per Sel. Non avete fatto una discussione interna e preso una posizione comune?Chiuso il percorso di “Cambiare si può” ognuno ha preso la sua scelta. Mi sforzo di praticare stili diversi della politica consueta, evitando schemi autoreferenziali e risse a sinistra, non mi scandalizza Gallino che vota Sel, per l’attenzione al programma economico e tra l’altro a Torino ha come candidato Giorgio Airaudo della Fiom. Personalmente, ritengo quella di Vendola una scelta suicida: Sel doveva stare nell’area di ricostruzione di un’alternativa, è diventata invece un’appendice del Pd siglando e sottoscrivendo la Carta d’Intenti. Temo nel Parlamento si troverà in grandissima difficoltà, soprattutto nel nuovo Senato chiamato a prendere decisioni terribili e con l’asse Monti-Pd che sarà il baricentro di tutto.

Voterà Rivoluzione Civile anche al Senato? Non crede sia giusto un “voto utile” per arginare un Berlusconi in rimonta?
Non sottovaluto il pericolo ed ho il terrore di B. e del suo meccanismo distruttivo. Un avventuriero spregiudicato che con il solo annuncio sull’Imu – “sparata” che gli serve per guadagnare un punto percentuale nei consensi – costa una quarantina di punti di spread, ovvero 4-5 milioni di euro di interessi sul debito pubblico che dovremmo pagare noi cittadini. Quindi, siamo chiaramente davanti alla follia di un uomo. Con la gente che lo appoggia ancora malgrado i disastri e i fallimenti commessi in passato. Pur avendo paura del Cavaliere trovo sbagliato il concetto del voto utile: un concetto offensivo e antidemocratico. Al contrario, bisognerebbe tessere l’elogio del voto inutile: atto di piena libertà. E comunque in soldoni lo scenario sarà alla Camera maggioranza del centrosinistra e al Senato una convergenza tra Pd e Monti.

Ultima domanda. Fine 2011, Lei – preoccupato dal default – ritiene Monti un male necessario per risollevare le sorti del Paese. Parla di “baciare il rospo”. Si è pentito?Assolutamente no. Non si poteva andare al voto e Monti rappresentava l’unica soluzione possibile per riorganizzare le forze in campo: avevamo tanto tempo per dare alle sinistre la possibilità di costruire un’alternativa. Invece si è deciso o la sottomissione ai tecnici o le guerre fratricide. Il Monti politico, di ora, che avanza con l’idea di una democrazia cristiana post-tecnocratica mi piace ancora meno del semplice tecnico.

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